Il gioco, in sé, non è un nemico. È parte della cultura, della socialità e, per molti, un passatempo innocuo. Tuttavia, tra i giovani adulti italiani, si sta consolidando una tendenza che solleva interrogativi: il gioco con denaro è diventato una pratica diffusa, ma priva di consapevolezza.
Lo dimostra il recente studio «Gioco responsabile e giovani under 25: motivazioni, contesti e strategie di intervento», condotto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore con il supporto della Fondazione FAIR. Secondo i dati, 1,9 milioni di ragazzi tra i 18 e i 25 anni — circa il 41% della fascia d’età — hanno scommesso o giocato denaro negli ultimi tre mesi.
Un numero che, da solo, racconta molto: il gioco non è più un fenomeno marginale, ma parte integrante del tempo libero dei giovani. Eppure, dietro la normalità dei numeri, si nasconde una fragilità culturale. Solo la metà degli intervistati afferma di sapere cosa significa “gioco responsabile”, mentre uno su tre ritiene il concetto inutile o inefficace.
Un segnale chiaro: manca la consapevolezza del limite e la capacità di distinguere tra intrattenimento e rischio.
Il deficit di consapevolezza: quando il gioco diventa un’abitudine invisibile
I dati rivelano che meno del 20% dei giovani dichiara di fissare limiti di spesa o di tempo durante il gioco. La maggioranza non utilizza strumenti di controllo né conosce le funzioni di autoesclusione messe a disposizione dalle piattaforme.
Dietro al comportamento ludico, spesso, si celano interazioni complesse: ricerca di adrenalina, bisogno di appartenenza o persino speranza di riscatto economico. Un insieme di fattori che rendono ancora più urgente una riflessione sulla regolamentazione dei giochi in Italia, affinché le norme non restino solo vincoli formali ma diventino strumenti concreti di tutela, soprattutto per le fasce più giovani.
Lo studio mostra inoltre una frattura territoriale significativa. La Sicilia si colloca sul podio delle regioni per spesa pro capite nel gioco online, con oltre 2.260 euro a persona, seguita dalla Calabria con circa 2.200 euro.
Numeri che raccontano di un fenomeno radicato, spesso legato a condizioni socioeconomiche fragili e alla percezione del gioco come occasione di rivalsa.
Ma quando la speranza di vittoria sostituisce il divertimento, il rischio diventa reale. E la linea tra gioco e dipendenza si assottiglia pericolosamente.
Educare, informare, proteggere: le nuove frontiere del gioco responsabile
Contrastare la deriva del gioco inconsapevole non può ridursi a un intervento normativo. Serve una rivoluzione culturale, in cui educazione e responsabilità diventino pilastri condivisi.
Il presidente della Fondazione FAIR, Matteo Caroli, sottolinea l’urgenza di “rendere visibili e accessibili gli strumenti di protezione, promuovendo trasparenza, informazione e sicurezza”.
Le istituzioni, insieme ai concessionari e al mondo accademico, stanno elaborando nuove strategie di prevenzione: campagne digitali, percorsi educativi nelle scuole e sistemi tecnologici basati su intelligenza artificiale, capaci di individuare tempestivamente comportamenti a rischio.
Come annunciato dal Direttore Centrale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Mario Lollobrigida, entro il 2026 saranno introdotti limiti più stringenti di spesa e deposito per i giovani adulti, oltre a sistemi di monitoraggio predittivo.
Misure necessarie, ma non sufficienti.
Perché il vero cambiamento passa dalla consapevolezza individuale: insegnare ai ragazzi a riconoscere il confine tra svago e compulsione, tra piacere e illusione.
Crescere una nuova cultura del gioco: responsabilità come libertà
Il gioco responsabile non è una campagna da ricordare, ma un’abitudine da costruire.
Non si tratta di vietare o demonizzare, ma di educare a scegliere, trasformando la responsabilità in una forma di libertà.
Le scuole e le università possono giocare un ruolo decisivo, integrando moduli formativi su finanza personale, gestione del denaro e rischi del gioco.
Anche i media e i content creator — oggi punti di riferimento per milioni di giovani — possono contribuire a diffondere modelli positivi, utilizzando linguaggi autentici e non moralistici.
Allo stesso tempo, i concessionari e le piattaforme di gioco devono rendere più visibili gli strumenti di autolimitazione, semplificare i processi di autoesclusione e promuovere campagne educative costanti.
In un’epoca in cui tutto è accessibile in un clic, la sfida più grande è insegnare il valore del limite.
Solo così il gioco potrà tornare a essere ciò che è sempre stato nella sua forma più pura: un momento di divertimento, non un’illusione di salvezza.
Educare al gioco responsabile significa, in fondo, educare alla vita reale, dove ogni scelta consapevole è già una vittoria.
