Immaginate di essere a casa vostra, in un negozio, o persino in un luogo intimo come uno spogliatoio, convinti di essere al sicuro. E invece, le immagini della vostra vita quotidiana finiscono online, accessibili a chiunque. Questo è quanto emerso da un recente caso di cronaca che ha svelato come migliaia di video da telecamere di sorveglianza siano stati “rubati” e messi in vendita sul web. Un vero e proprio “allarme rosso” per la nostra privacy, che assume contorni ancora più preoccupanti se consideriamo la crescente diffusione di questi sistemi.
Il Segreto di Pulcinella: perché i nostri video finiscono online?
Quando si parla di “video rubati”, la prima cosa che viene in mente è l’immagine di un hacker geniale che penetra sistemi super-protetti. Ma la verità è spesso più banale e, per questo, più preoccupante.
In Italia, la diffusione delle videocamere di sorveglianza è in decisa crescita negli ultimi anni: attualmente, si contano circa 1,45 videocamere di sicurezza pubbliche ogni 10.000 abitanti, un forte aumento rispetto alle 66 ogni 100.000 abitanti del 2014. Questa espansione è stata favorita anche da normative come la legge italiana n. 48 del 2017, che ha potenziato l’installazione di impianti comunali per la prevenzione e il contrasto della criminalità, portando il 79% dei comuni italiani a dotarsi di regolamenti specifici.
Ma quanto sicuro sono queste telecamere? Si stima che in Italia ce ne siano oltre 70.000 “esposte”, accessibili via internet e vulnerabili ad accessi non autorizzati. In molti di questi casi, la vulnerabilità dei dispositivi deriva da aspetti apparentemente banali: chi installa o usa queste telecamere spesso non cambia le password predefinite, lasciando la porta aperta a chiunque conosca quelle “di fabbrica”. Inoltre, il software delle telecamere, proprio come quello di uno smartphone, ha bisogno di aggiornamenti costanti per essere protetto, e la loro mancata applicazione le rende facili bersagli. Infine, alcune telecamere sono configurate in modo talmente “aperto” da permettere a chiunque trovi il loro indirizzo su internet di vederne le immagini. Quest’ultimo punto diventa esso stesso un punto di ingresso per attacchi cyber. È bene ricordare che le telecamere non sono solo oggetti “passivi”: fanno parte a pieno titolo del mondo OT (Operational Technology), e come tali vanno trattate e protette.
Insomma, non sempre serve necessariamente un “super-hacker”: a volte basta una scansione automatica per trovare sul web telecamere lasciate incustodite.
Il vero scandalo: la presenza indebita di telecamere
Oltre alle falle tecniche, il caso ha portato alla luce un problema ancora più grave: la presenza di telecamere in luoghi dove la legge le vieta esplicitamente. Bagni, spogliatoi, infermerie, persino stanze d’ospedale. Luoghi dove ognuno di noi si aspetta la massima riservatezza.
La legge italiana e le normative europee (come il famoso GDPR) sono chiarissime: non si possono installare telecamere in questi spazi. Non è una “raccomandazione”, ma un divieto netto, la cui violazione può costare multe salatissime e persino conseguenze penali. Inoltre, l’Ispettorato del Lavoro ha più volte ribadito che le telecamere non possono essere usate per monitorare i lavoratori, se non in casi eccezionali e con precise autorizzazioni. Non rispettare queste regole significa esporsi non solo a sanzioni, ma a danni reputazionali difficili da sanare.
Eppure, le immagini diffuse dimostrano che queste regole vengono troppo spesso ignorate.
“Non ho nulla da nascondere”: una frase pericolosa
Quante volte abbiamo sentito dire: “Se non ho nulla da nascondere, non ho nulla da temere”? Questa frase, apparentemente innocua, è in realtà molto pericolosa. Legittima l’idea che la sorveglianza totale sia accettabile, erodendo a poco a poco un diritto fondamentale: quello di sentirsi liberi e non osservati in certi spazi.
Molte aziende o privati installano telecamere con le migliori intenzioni – per proteggere beni o persone – ma finiscono per posizionarle senza criterio, a volte per controllare i dipendenti, altre per semplice pigrizia o ignoranza delle regole. Il risultato è una cultura della sorveglianza che dimentica la dignità delle persone.
Quando la tecnologia diventa troppo “intelligente”
Oggi le telecamere non si limitano a registrare. Quelle più moderne, dotate di Intelligenza Artificiale, possono fare molto di più: riconoscere la presenza umana, analizzare movimenti, persino interpretare le emozioni sulla base delle immagini che catturano. Se da un lato questo può migliorare la sicurezza (pensiamo alla gestione del traffico o alla prevenzione di reati), dall’altro solleva nuove e serie preoccupazioni.
Queste telecamere “intelligenti” possono raccogliere dati molto personali, come le nostre caratteristiche fisiche o il nostro comportamento. Immaginate una telecamera che “capisce” la vostra età, il vostro sesso, o persino il vostro stato d’animo. Questo tipo di sorveglianza, se non regolata e controllata strettamente con un approccio “privacy by design”, può diventare estremamente invasiva e portare a discriminazioni o a una profilazione eccessiva delle persone.
Non solo: sempre più spesso, le telecamere vengono collegate a sistemi che consentono la visione da remoto verso soggetti, responsabili del trattamento dati, preventivamente autorizzati. Questa funzionalità comporta rischi significativi se non viene gestita
correttamente. Collegarsi senza protezioni equivale ad aprire una finestra sulla propria vita (o sul proprio business) a chiunque intercetti il traffico dati.
Ecco perché è fondamentale utilizzare canali sicuri, come collegamenti VPN, per garantire privacy e protezione durante l’accesso da remoto.
Considerando che si prevede una crescita del mercato della videosorveglianza in Italia verso il miliardo di dollari entro il 2030, con integrazione dell’intelligenza artificiale e soluzioni “super-intelligenti” a fare da traino, le discussioni sulla privacy e la sicurezza dei dati personali diventano inevitabilmente urgenti.
Il costo della superficialità: reputazione e fiducia a rischio
Installare una telecamera senza le dovute considerazioni, e soprattutto senza rispettare le regole, non rappresenta solo un rischio legale, ma un grave pericolo per la reputazione e la fiducia. Nessuna azienda desidera finire sotto i riflettori per aver violato la privacy dei propri clienti o dipendenti e la perdita di fiducia, una volta compromessa, è difficile da ricostruire. In un contesto dove la videosorveglianza è in forte crescita, con un mercato in espansione e una maggiore sensibilità mediatica e pubblica sulle vulnerabilità e i rischi correlati, la superficialità nella gestione di questi sistemi può avere conseguenze devastanti, non solo economiche ma anche sociali, erodendo la libertà individuale e la percezione di sicurezza.
Conclusione: sicurezza integrata, competenze integrate
In un contesto dove la videosorveglianza è sempre più pervasiva e tecnologicamente avanzata, non basta più installare una telecamera e sperare che basti. È fondamentale che aziende e privati si affidino a professionisti del settore, capaci di garantire procedure di installazione e gestione adeguate, che utilizzino dispositivi robusti e aggiornati, resistenti agli attacchi informatici. La sicurezza fisica e la cybersecurity non sono più mondi separati: si sovrappongono, si influenzano e devono essere affrontati con competenze integrate. Solo così si può costruire una vera cultura della sicurezza, che protegga non solo beni e persone, ma anche la dignità e la libertà individuale.
A cura di Nico Paciello, Marketing & Communication Manager, Axitea
